Quanto avvenuto nel 2020 ha imposto una seria riflessione a proposito del rapporto tra uomo e tecnologia. Nel momento stesso in cui una pandemia ha bloccato l’intero pianeta, isolando le persone e bloccando tutto quel che era un mondo fatto di spostamenti, è stato chiaro come proprio la digitalizzazione avrebbe potuto fornire risposte chiare ed immediate in molti settori. A partire dalla salute, ovviamente. Gli ingredienti ci sono già tutti, ma manca ancora la ricetta che li metta assieme: dal mondo dei wearable all’Internet of Thing, passando per la moltitudine di sensori in grado di fornire un monitoraggio continuo dei parametri vitali, occorre ora cercare il giusto equilibrio per integrare tutte queste tecnologie e trovarvi applicazione tanto in azienda quanto nelle singole abitazioni, tanto nella vita privata quanto nelle attività pubbliche.
Il cambio di marcia è stato dettato dalla miniaturizzazione che ha consentito di portare i sensori direttamente sull’uomo attraverso quelli che sono i “wearable devices“: occhiali, caschi, braccialetti, in un crescendo di creatività che consente a queste minuscole componenti di registrare la realtà e di comunicarla attraverso una rete di connettività fondamentale per trasformare gli input analogici in informazioni digitali. Se queste applicazioni possono essere estremamente interessanti in ambiti quali la realtà virtuale o il gaming, possono addirittura divenire fondamentali nel ridefinire quel che sarà il mondo healthcare.
Nei giorni scorsi Mario Draghi è stato chiaro in proposito presentando i piani per il proprio esecutivo: la medicina di prossimità avrà un ruolo fondamentale e la telemedicina sarà lo strumento che consentirà questo cambio di paradigma spostando addirittura nell’abitazione il luogo di cura e analisi. Per poter abilitare questo orizzonte del possibile serviranno tecnologie altamente specializzate per il monitoraggio dei parametri vitali, per l’alimentazione delle cartelle informative relative al paziente e per interagire con gli smartphone personali al fine di incoraggiare l’adozione di sane abitudini quotidiane.
Secondo uno studio scientifico pubblicato nel 2020 dalla prestigiosa rivista internazionale “Technological Forecasting and Social Change” (Papa, A., Mital, M., Pisano, P., & Del Giudice, M. (2020). E-health and wellbeing monitoring using smart healthcare devices: An empirical investigation. 153, 119226), è dimostrata l’evidenza per cui la tecnologia sarebbe potenzialmente in grado di scardinare la crescente incidenza di malattie legate all’eccessiva sedentarietà. Non solo: proprio la tecnologia, spesso causa prima della sedentarietà, potrebbe diventare paradossalmente anche soluzione per questo problema grazie al fatto che i medesimi strumenti sarebbero utilizzati dalle medesime persone. Dove la tecnologia crea cattive abitudini, insomma, può generarne al tempo stesso anche di virtuose: ciò innesca potenziali processi in grado di stimolare un intero ecosistema sociale ed economico basato su smart device che orientano scelte, ottimizzano strategie e veicolano gli sforzi di aziende ed assistenza sanitaria nella giusta direzione.
“Il radicamento dell’Internet of Things (IoT) nelle nuove tecnologie, ovvero l’avvento dei dispositivi sempre più connessi ad Internet come i WD o gli smart health-care devices, consente alle imprese di migliorare i sistemi e le procedure interne, registrando una sostanziale riduzione dei tempi di introduzione delle innovazioni nel mercato, in quanto tutti i dispositivi indossabili e altamente tecnologici consentono di accumulare rapidamente una grande mole di dati e informazioni direttamente trasmessi dal consumatore digitale“: così il prof. Manlio Del Giudice, docente di Brand Management del corso di laurea magistrale in Gestione Aziendale, spiega la magnitudo con cui questo tipo di device è in grado di agire nei contesti nei quali vengono applicati.
Inevitabilmente questa molte di attività continue di monitoraggio, analisi e alerting deve necessariamente passare per sistemi di knowledge management utili tanto in termini di discernimento delle informazioni dai Big Data, quanto in termini di analytics per la comprensione delle evidenze più significative. Trattasi di processi, insomma, in grado di generare conoscenza e quest’ultima può diventare per le aziende un prezioso asset su cui lavorare.
Quel che il wearable è in grado di fornire al singolo individuo, l’IoT è in grado di fornirlo ad una entità sociale su ambienti pubblici attraverso interazioni e monitoraggi di gruppi di persone. Allo stesso modo, però, esiste una dimensione ulteriore che è quella dell’Ambient Assistant Living (AAL): calare dispositivi collegati ad Internet nel contesto casalingo può infatti fornire un monitoraggio continuo a distanza che, senza rivelarsi invasivo sulla vita quotidiana, consente di ottenere medesimi risultati con un fortissimo impatto potenziale in termini assistenziali. Si concretizza in questa dimensione la prospettiva enunciata da Draghi, potenzialmente in grado di riscrivere completamente le basi della sanità pubblica a partire da un layer domestico in grado di catturare informazioni e restituirne altre, in un dialogo continuo con una intelligenza remota in grado di discernere gli eventi di maggior urgenza per abilitare interventi di aiuto, consulenza o orientamento.
Inizia tutto con piccoli sensori, ma diventa una grande rete intelligente ad altissimo potenziale per il miglioramento della qualità della vita per ognuno di noi. Essere consumatori digitali significa alzare di livello la propria qualità della vita ed in questa fase stiamo vivendo l’alba di questa evoluzione.