Una sentenza della Corte d’Appello di Torino portata sulle prime pagine di oggi rigetta una luce tetra sul rapporto tra l’uso di strumenti di telefonia mobile e l’insorgere di tumori. La sentenza giunge sui giornali direttamente da chi esce vincitore in sede giudiziaria, così come riportato da Repubblica.it: “Lo annunciano gli avvocati Renato Ambrosio e Stefano Bertone, dello studio legale torinese Ambrosio e Commodo. Secondo la Corte “esiste una legge scientifica di copertura che supporta l’affermazione del nesso causale secondo i criteri probabilistici ‘più probabile che non’“. Se si immagina il processo come quelli delle serie tv, ove vige il principio del “oltre ogni ragionevole dubbio”, dimenticate questa percezione: lo scontro legale sul rapporto tra telefonini e tumori gravita su terreni ben più scivolosi e sui quali è necessario prestare molta attenzione.
Il Tribunale di Ivrea aveva condannato l’Inail a corrispondere una rendita vitalizia da malattia professionale a Roberto Romeo, 57 anni, dipendente di una grande azienda, cui era stato diagnosticato il tumore dopo che per 15 anni aveva usato il cellulare per più di tre ore al giorno. Il giudice del lavoro del Tribunale di Ivrea, Luca Fadda, aveva riconosciuto che il tumore, benigno ma invalidante, contratto dall’uomo è stato causato dall’uso scorretto del cellulare
Lo studio legale combatte da tempo una battaglia specifica sulla questione ed ha portato a casa i propri risultati, sui quali non si intende discutere poiché tale discussione afferisce alla mera sfera giurisprudenziale: siano i tribunali a scrivere le sentenze. Quel che più interessa è tornare al punto di partenza, quello che maggiormente afferisce l’utenza finale: che rapporto c’è tra cellulari e tumori? Quale rischio si corre realmente?
Telefonini e tumori: cosa dice la scienza
Se in termini giurisprudenziali la parola rimane ai tribunali, in termini scientifici la parola deve rimanere ad enti come l’Istituto Superiore di Sanità. E sono parole di pochi mesi or sono, quando nell’agosto del 2019 l’ente spiegava che
In base alle evidenze epidemiologiche attuali, l’uso del cellulare non risulta associato all’incidenza di neoplasie nelle aree più esposte alle RF durante le chiamate vocali. La meta-analisi dei numerosi studi pubblicati nel periodo 1999-2017 non rileva, infatti, incrementi dei rischi di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari) in relazione all’uso prolungato (≥10 anni) dei telefoni mobili.
Mentre gli avvocati si rifanno alla classificazione IARC del 2011, che etichettava le radiofrequenze nel “gruppo 2B” come “possibili entità cancerogene”, l’ISS depotenzia tale giudizio sulla base di nuove evidenze scientifiche:
Rispetto alla valutazione della IARC nel 2011, le stime di rischio considerate in questa meta-analisi sono più numerose e più precise. I notevoli eccessi di rischio osservati in alcuni studi caso-controllo non sono coerenti con l’andamento temporale dei tassi d’incidenza dei tumori cerebrali che, a quasi 30 anni dall’introduzione dei cellulari, non hanno risentito del rapido e notevole aumento della prevalenza di esposizione. […] L’ipotesi di un’associazione tra RF emesse da antenne radiotelevisive e incidenza di leucemia infantile, suggerita da alcune analisi di correlazione geografica, non appare confermata dagli studi epidemiologici con dati individuali e stime di esposizione basate su modelli geospaziali di propagazione.
Gli avvocati che hanno ottenuto in appello vittoria del proprio assistito richiamano a più riprese le conclusioni dello IARC e di una ricerca Interphone, ma lo stesso documento (disponibile online) sembra essere invece piuttosto prudente nel trarre conclusioni:
La sentenza si è tuttavia basata su un tumore specifico, per il quale alcune ricerche sui topi hanno evidenziato quelle che sembrano essere prove evidenti di una correlazione causale cellulari-carcinoma. Tali ricerche sono state però contestate poiché difficilmente contestualizzabili sull’attuale uso dei cellulari da parte dell’uomo, poiché si è fatto uso di reti 2G/3G, non si è considerata la differente esposizione, né si è tenuta in considerazione la differente dimensione (la differenza sta nell’esposizione di una singola parte del corpo invece che la totalità dello stesso). Troppi interrogativi per giungere ad una conclusione “oltre ogni ragionevole dubbio”, insomma.
Da parte dell’Organizzazione Mondiale di Sanità vige da tempo un sano principio di precauzione: sebbene ad oggi non esistano evidenze scientifiche che legano l’uso dei cellulari e l’insorgere dei tumori, non è possibile neppure dimostrare il contrario oltre ogni ragionevole dubbio. E deve essere proprio il dubbio a stimolare nuove ricerche di lungo periodo da parte degli scienziati ed un uso consapevole degli strumenti da parte dei consumatori. Il consiglio in vigore da parte dell’OMS è quello di non telefonare troppo a lungo se non attraverso auricolari, allontanando così la fonte delle radiofrequenze e riducendo così pesantemente la propria esposizione. Nel frattempo le sentenze scriveranno la giurisprudenza e le ricerche scientifiche scriveranno la verità.