La Procura Distrettuale e la Procura per i Minorenni di Catania hanno comunicato di aver portato a termine una vasta operazione contro la pedopornografia online che ha messo nel mirino una serie di gruppi WhatsApp utilizzati da adolescenti per lo scambio del materiale in oggetto. L’operazione sarebbe scattata a seguito della denuncia di una mamma che, una volta notate le immagini sullo smartphone del figlio, avrebbe notificato il tutto alla Polizia Postale consentendo l’avvio delle indagini.
Esattamente quello che Telefonino.net segnalava soltanto pochi mesi or sono: le comunicazioni sarebbero avvenute attraverso gruppi denominati “Tana della Luna” e “scoobyDank“, gruppi che – secondo quando comunicato dalla Polizia Postale, “inizialmente condividevano immagini e video del genere “gore” ovvero di torture, suicidi e simili“. Non uno scambio una tantum, insomma, ma un vero e proprio modello che ha una sua genesi, un suo percorso ed una sua natura ampiamente nota e diffusa. Ciò che gli inquirenti hanno potuto fare finora è quanto descritto dalla Polizia:
La donna consegnava spontaneamente il dispositivo mobile al personale della Polizia Postale che acquisiva con sofisticate strumentazioni forensi il contenuto del telefono e, in particolare, dei gruppi Whatsapp. Iniziava, così, un meticoloso lavoro investigativo finalizzato a ricostruire le dinamiche e le eventuali condotte penalmente rilevanti poste in essere dai singoli aderenti, circa 300, riuscendo ad identificare coloro che avevano divulgato o richiesto video e immagini di pornografia minorile, con vittime anche in età infantile.
Lo scambio avviene online, dunque non v’è territorialità in questo tipo di operazioni: lo dimostra il numero delle città coinvolte, che conta finora Catania, Ragusa, Bari, Brindisi, Foggia, Taranto, Roma, Torino, Alessandria, Asti, Novara, Milano, Brescia, Pavia, Firenze, Livorno, Prato, Venezia, Treviso, Verona, Reggio Calabria, Catanzaro, Napoli, Oristano, Gorizia, Terni, Genova, Matera, Forlì e L’Aquila. Sarebbero oltre 50 le persone indagate.
L’operazione “Tana della Luna” è l’ennesima dimostrazione di un fenomeno di difficile risoluzione: WhatsApp – ma isolare a WhatsApp il problema sarebbe riduttivo e fuorviante – può diventare un luogo estremamente pericoloso e poco controllabile, il che impone precisi doveri ai genitori dei minori, precise riflessioni educative agli istituti scolastici e specifici moniti agli intermediari che non predispongono sistemi di vigilanza e filtro.
Inutile cercare giocoforza dei responsabili, meglio assumersi ognuno la propria responsabilità e fare quanto possibile per consentire ai più giovani un accesso tutelato alle nuove tecnologie. Laddove tutela non sempre è censura, ma anche e soprattutto educazione.