Mercato chiuso. Mercato aperto. No, non stiamo parlando di Borsa Valori, o di scambi commerciali fra le potenze internazionali. Facciamo riferimento, come di consueto, al settore che più ci sta a cuore, quello della telefonia mobile. Nel nostro Paese, a differenza di molti altri Stati europei e non, il mercato dei cellulari è “sussidiato” a metà: alla libera vendita dei modelli, si aggiunge quella che abbina il telefono all’abbonamento di un gestore nostrano.
In Italia, Tim, Vodafone, Wind, e soprattutto Tre, propongono soluzioni che legano a sé il cliente, con strategie lontane dalla pura e semplice sim ricaricabile. Le politiche dei gestori comportano situazioni completamente diverse, per i clienti, sì, ma anche per i produttori. Le letture possono essere effettuate da punti di vista differenti. Iniziamo dai clienti, dai finalizzatori dell’offerta di produttori e gestori.
Di questi tempi, i modelli più interessanti dal punto di vista multimediale corrispondono a quelli che richiedono agli utenti un esborso maggiore. Parliamo di device con un importante contenuto tecnologico, che arrivano a costare anche 5-600 euro, fino a quegli exploit di design capaci di toccare quota mille. Sono cifre significative, non sempre abbordabili, ma così come accade per altri beni di consumo, anche per il cellulare l’appassionato italiano inizia a ricorrere ad altre strade, che escludano l’acquisto tutto-e-subito.
Oggi si possono trovare soluzioni che prevedono una rateizzazione della cifra da investire, ma ancora più semplice diventa legarsi a un operatore, che brandizza un modello, sussidiandone l’acquisto. E per mettersi in tasca il cellulare più evoluto, alcuni clienti sono disposti a sopportare contratti importanti, ma con versamenti dilazionati nel tempo. In altri Paesi, il mercato chiuso è l’unico esistente, almeno sulla carta, visto che poi è possibile sbloccare i cellulari acquistati anche nei negozi più impensabili (un esempio? In Inghilterra alcuni calzolai sbloccano i telefoni).
Da noi, gli introiti dei produttori sono determinati ancora dal mercato aperto, significativo per il 50% dei ricavi, come testimoniato da più parti nel corso dell’ultimo GSMA Mobile World Congress di Barcellona. Dovendo però ipotizzare un “domani”, che rientri nell’ottica più ampia della situazione socio-economica italiana, si potrebbe paventare l’esistenza (provocatoria) di due situazioni profondamente differenti: da una parte, il cliente abbiente che si mette in tasca il cellulare di ultima generazione continuando a non legarsi a un contratto (ma solo per il discorso durata, non certo per le cifre – comunque elevate); dall’altra, quello disposto a sopportare canoni mensili lontanissimi dal concetto di risparmio, pur di dotarsi di modelli belli e anche qui, di ultima generazione.
Ovviamente, è facile capire da quale parte penda l’interesse dei gestori telefonici, e la situazione generata dalla commercializzazione di iPhone 3G è lampante, nella sua chiarezza. Rimane, in ultima istanza, la sorte dell’utente finale, che si è visto tagliare – finalmente – i costi di ricarica, ma che rimane a dover fare i conti con costi elevati, anche per il solo invio dei semplici messaggi di testo.
Auspicare un’inversione di tendenza è lecito, anche per rivedere con parere positivo una chiusura del mercato che appare materializzarsi all’orizzonte.