Secondo uno studio realizzato dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità), si consiglia di non avere l’iPhone “vicino al cuore”, vale a dire nella tasca del giubbotto o della giacca presente sul petto. Di fatto, le ricerche condotte finora riportano che, se si tiene il device lontano dal nostro organo principale, ci si protegge di più dalle radiazioni. Quella che un tempo era una semplice e banale “diceria” basata sul “sarebbe meglio, non si sa mai”, ora invece è comprovata anche dalla scienza che ha misurato il problema stesso.
Come si dice: iPhone, lontano dagli occhi, lontano dal cuore?
Stando allo studio, sembra che il problema sia correlato essenzialmente alle interferenze magnetiche che il dispositivo può provocare con pacemaker, defibrillatori e similari. La compagnia di Cupertino lo suggerisce: “tenete l’iPhone lontano almeno 15 cm dal cuore”, proprio per evitare che si possa incorrere in situazioni incresciose e pericolose che possono generare disfunzioni degli apparati.
L’ISS ha spiegato nel dettaglio la ricerca condotta e ha spiegato che tale problema si verifica solo in alcuni casi ben delineati:
Questo studio dell’ISS è il primo a valutare in laboratorio l’interferenza magnetica dell’iPhone 12 e dei suoi accessori MagSafe su un campione rappresentativo dell’attuale mercato italiano di pacemaker e defibrillatori impiantabili, incluso il defibrillatore sottocutaneo. Inoltre, per la prima volta, i fenomeni di interferenza magnetica sono stati accuratamente correlati ai livelli di campo magnetico misurati attorno all’iPhone 12. I ricercatori hanno valutato i pacemaker e i defibrillatori impiantabili dei principali produttori mondiali (Abbott, Biotronik, Boston Scientific, Medico, Medtronic, Microport), utilizzando un simulatore di battito cardiaco. I risultati hanno mostrato che, in alcuni casi, il magnete presente nell’ iPhone 12 può attivare involontariamente l’interruttore magnetico nel campione di pacemaker e defibrillatori impiantabili che è stato valutato. Il fenomeno è stato osservato fino ad una distanza massima di 1 cm.
La ricerca porta le firme di quattro studiosi italiani: Eugenio Mattei, Giovanni Calcagnini, Federica Censi, Graziano Onder.