I prodotti del colosso Huawei (e del “cugino” Honor) non possono ricevere il supporto alla licenza dei Google Mobile Services dal 19 maggio dello scorso anno, quando Donald Trump, presidente degli Stati Uniti d’America, ha dichiarato il ban di Google nei confronti dell’azienda cinese.
Huawei: l’AppGallery è la chiave di tutto
A Huawei è stato vietato di fatto, la possibilità di integrare – come è sempre avvenuto finora – l’utilizzo del Google Play Store e della licenza di Android sui dispositivi del brand. I nuovi tablet e smartphone della casa cinse non possono utilizzare le app di default di Google, compreso quindi lo store per il download di software certificato, di Maps, Gmail Drive, YouTube e molto altro ancora.
Il problema non compare in Cina, dove la maggior parte delle app di Google (così come il motore di ricerca) viene vietata per via della dittatura vigente sul territorio, ma si ripercuote sull’economia globale al di fuori del territorio asiatico.
Finora Huawei ha aumentato le spedizioni di smartphone, arrivando al secondo posto nella classifica dei produttori di device mobili lasciando Apple alle spalle, ma subendo il peso della corona di Samsung. La società di Ren Zhengfei ritiene tuttavia, di avere un piano per attirare sempre più acquirenti in tutto il mondo e rubare lo scettro al colosso sudcoreano.
A differenza di Google, Huawei non è una società di dati; di fatto, gli ultimi prodotti della casa cinese hanno una versione open-source di Android senza licenza, con a bordo il negozio proletario per il download di app digitali, AppGallery. Ad oggi, quest’ultimo è il terzo store al mondo; lanciato in Cina nel 2011, ha ricevuto la versione internazionale nel 2018. Huawei ritiene che questo sia la chiave per superare Samsung; rendendo più sicuro e adatto il negozio di app rispetto alla controparte Google.
Uno dei problemi maggiori legati al Play Store è proprio la grande presenza di software malevolo da parte di sviluppatori non certificati. Il colosso cinese intende operare quindi attaccando lo store di Google proprio sul punto debole: la sicurezza e la vulnerabilità dei dati.
Huawei chiederà a tutte le società che rilasciano applicazioni per AppGallery un gran quantitativo di informazioni al fine di offrire la massima sicurezza agli utenti che utilizzeranno lo store digitale cinese. Il potenziale di fatto c’è, e considerato che molti utenti, stanchi del Play Store e delle numerose app piene di spam, blootware e pubblicità hanno lasciato il mondo Android in favore di quello Apple, Huawei potrebbe offrire una soluzione inedita quanto inaspettata nel panorama dei dispositivi mobili mondiali.
Huawei ha dichiarato che non invierà alcun dato sensibile degli utenti ai server in Cina, cosa di cui è stata ampiamente criticata la rivale Xiaomi; inoltre, ha anche ribadito che non utilizza l’AppGallery al fine di generare dati sulla posizione e altre informazioni personali che potrebbero venir usate dagli inserzionisti.
Al momento la situazione è alquanto delicata; l’amministrazione Trump ha emanato un’ulteriore regola che consente agli USA di controllare l’export di prodotti realizzati in un paese straniero, al fine di valutare se contengono il 25% (o più) di prodotto americano. Se Trump decidesse di abbassare la soglia al 10% (come si vocifera da tempo), potrebbe impedire anche la spedizione dei chip di TSMC per Huawei; così facendo il SoC a 5 nanometri Kirin 1020 5G potrebbe non vedere la luce entro la fine dell’anno.
A seguito del ban, in Cina Huawei è apparsa come “la vittima del bullo Trump”; di fatto le spedizioni degli smartphone nel primo trimestre sono state molto positive, con quote di mercato superiori al 39%. Ciò che ha preoccupato però Huawei è stata proprio Apple; la vendita di iPhone 11 sul territorio asiatico è aumentata in maniera esponenziale, e adesso la compagnia cinese teme il predominio Apple anche in virtù dell’uscita sul mercato dell’iPhone SE (2020), il device “entry-level” economico della casa di Cupertino.