Appena annunciato in via ufficiale anche per l’Italia, il nuovo Honor View 20 è lo smartphone più completo ed evoluto finora inserito nel catalogo del brand. Un dispositivo che ha tutte le carte in regola per giocarsela ad armi pari con i flagship (e i flagship killer) già in circolazione, il cui obiettivo dichiarato è quello di proseguire nel trend di crescita innescato dal marchio in un 2018 che ha visto invece l’intero settore rallentare.
I 48 megapixel di Honor View 20
Dando uno sguardo alla scheda tecnica del nuovo Honor View 20 spiccano il foro praticato in un angolo del display da 6,4 pollici, il processore octa core Kirin 980, 8 GB di RAM e 256 GB di memoria interna per lo storage. Uno dei principali selling point del dispositivo è però da ricercare nel comparto imaging, dove l’attenzione è calamitata dalla presenza di una fotocamera da 48 megapixel (Sony IM586) sul retro, affiancata da un secondo sensore la cui funzione è sostanzialmente quella di analizzare l’ambiente inquadrato. A questo punto, citando un volto noto della TV nostrana, “la domanda sorge spontanea”: ci servono davvero? Perché Honor ha deciso di spingersi tanto in alto con la risoluzione, quando nelle prime posizioni della classifica DxOMark relativa al 2018 ci sono smartphone con sensori da 12 o 24 megapixel (con qualche eccezione)?
Megapixel e qualità
Veniamo al punto: 48 megapixel sono davvero utili su uno smartphone? La risposta non può che essere “ni”. Il quesito dev’essere posto in modo differente: cosa cerchiamo dalle fotocamere dei dispositivi mobile? Dopotutto, non possiamo considerare il numero di megapixel un parametro direttamente proporzionale alla qualità delle immagini acquisite, altrimenti il Nokia Lumia 1020 del 2013, con il suo modulo PureView da 41 megapixel, sarebbe da considerare ancora oggi il migliore della categoria.
Precisiamo che il discorso non si riferisce esclusivamente al View 20 (altri produttori arriveranno presto a toccare e sforare la soglia dei 48 megapixel), le cui performance in termini di imaging andranno valutate con un test sul campo. La new entry del catalogo Honor ci offre però l’assist per una riflessione sul tema.
Belle foto o buone foto?
Il discorso è complesso, si snoda su un terreno scivoloso, che non può prescindere da una doverosa differenziazione tra il concetto di fotografia e quello di fotografia mobile. Proviamo a scriverlo in altro modo: chiediamo al nostro dispositivo di produrre una bella immagine oppure di riportare in modo fedele quanto osserviamo con i nostri occhi nella scena inquadrata? Insomma, vogliamo una bella foto o una buona foto? Né l’una né l’altra risposta sono corrette o sbagliate, ma è bene aver chiaro quale sia l’obiettivo.
Nel primo caso lasciamo che soluzioni software, IA e algoritmi di interpolazione ci restituiscano un file perfettamente bilanciato nelle luci e nelle ombre (il buon René avrebbe detto “Smarmella tutto!”), imitando nei ritratti un effetto bokeh altrimenti non riproducibile dalle ottiche di uno smartphone o illuminando le parti più scure della scena simulando una lunga esposizione, ricorrendo ai sistemi di stabilizzazione. Otterremo così un’immagine pronta per la condivisione, confezionata per lo sharing nelle chat o sulle bacheche dei social. Nel secondo caso rispettiamo ciò che ci insegna l’etimologia stessa del termine (“fotografia”, “scrivere con la luce”) e accettiamo che la luce, dove non c’è, non c’è.
Dimensioni e post-produzione
Un sensore da 48 megapixel restituisce in output foto con una definizione pari a 8000×6000 pixel, caratteristica che di certo può tornare utile per un crop, andando a ritagliarne un particolare per effettuare una sorta di zoom in post-produzione. Teniamo ad ogni modo conto delle dimensioni del file generato, anche se questo balzello è destinato a farsi sempre meno gravoso con l’ampliamento delle capacità di storage e con il ricorso alle piattaforme cloud per i backup.
Una tale risoluzione può tornare utile per ottenere via interpolazione immagini più piccole, mediante tecnologie già adottate anche da alcune fotocamere tradizionali, ad esempio combinando le informazioni assorbite dal sensore su quattro pixel adiacenti per restituirne in uscita uno solo: si va così a ridurre il rumore nelle condizioni di illuminazione meno favorevoli, passando da 48 a 12 megapixel. View 20 è in grado di farlo, grazie alla tecnica Quad Bayer sviluppata da Sony.
Al tempo stesso, inserire un tale numero di pixel sulla superficie comunque obbligatoriamente ridotta di un sensore fotografico per smartphone significa restringere l’area occupata da ogni singolo punto (nell’IM586 di View 20 è 0,8 μm, su Mate 20 Pro arriva a 1,0 µm, su Pixel 3 fino a 1,4 µm).
In definitiva, non si vincoli l’acquisto di un dispositivo alla risoluzione della fotocamera integrata come se il parametro fosse indicazione certa di qualità, ma si tengano in considerazione i vantaggi (e gli svantaggi) legati a tale caratteristica.