L’Open Market è morto. Viva l’Open Market. Se questa oggi vi sembra un’esagerazione, domani la realtà del mercato italiano potrebbe cambiare. Il nostro Paese, storicamente, si è trovato spesso in situazioni d’inferiorità rispetto alle altre nazioni, soprattutto europee, tanto che non è così raro sentirsi dire che siamo i fanalini di coda del continente, che dopo di noi c’è solo la Grecia o qualche volta il Portogallo, e che dovremmo imparare dai nostri vicini di casa: Francia, Svizzera, Germania.
Eppure, per quanto riguarda la telefonia mobile, l’Italia rappresenta ancora un’eccezione: da noi è possibile acquistare un cellulare senza legarsi necessariamente a un operatore telefonico, cosa che invece, per esempio in Inghilterra, non si può fare (salvo poi vedersi sbloccato il cellulare anche dall’amico calzolaio).
Vuoi per un’esigenza di miglioramento, vuoi per mettere la freccia e iniziare ad avvicinarsi ai ricavi dei gestori degli altri Paesi, in Italia la situazione sembra sul punto di cambiare. Come sempre, il problema è che in pochi sembrano accorgersene. Forse perché sono in pochi quelli che, almeno nelle primissime fasi di commercializzazione di un prodotto top, si possono permettere l’esborso di cifre importanti.
Il primo iPhone (in Italia il 3G) non fu mai commercializzato da Apple, ma venne legato esclusivamente a Tim e Vodafone. Allora, se ricordate, denunciammo le pratiche di Telecom Italia Mobile, che aveva detto ai propri dealer: “Ehi, meglio se non li vendete, gli iPhone liberi, quelli a prezzo pieno”. Con iPhone 3G S, la pratica da denunciare riguarda Vodafone. Come sapete, la distribuzione di un prodotto avviene “a ondate”.
Con la prima, si prendono gli appassionati: di modelli in giro ce ne sono pochi, e magari qualche giorno dopo avere comprato il telefono che aspettavi da tempo, scopri che Apple inizia a vendere gli iPhone sbrandizzati, a 20 euro in meno rispetto agli operatori. D’accordo, rimane la scocciatura, ma in fondo hai deciso tu di metterti in fila in una sera di giugno per intascarti per primo il 3G S.
Il problema, allora, va oltre: va nella pratica che sceglie di premiare chi fa più contratti, come condizione non solo sufficiente, ma soprattutto necessaria, per ottenere una seconda ondata più ricca di iPhone. In parole povere:
CASO 1
Vodafone: Vendi iPhone 3G S?
Dealer: Sì.
Vodafone: Liberi o con contratto?
Dealer: 80% contratto, 20% liberi.
Vodafone: Perfetto, la seconda ondata sarà di 100 iPhone.
CASO 2
Vodafone: Vendi iPhone 3G S?
Dealer: Sì.
Vodafone: Liberi o con contratto?
Dealer: 20% contratto, 80% liberi.
Vodafone: Mmm… in magazzino non ho grandi disponibilità, inizio a mandarti 35 iPhone come seconda ondata.
In mezzo a queste politiche non solo discutibili, ma soprattutto ridicole, c’è il cliente, che non solo aspetta per poi essere disilluso, ma che soprattutto si trova costretto a sottoscrivere un contratto per mettersi in tasca il proprio cellulare preferito. Certo, secondo alcuni vale la stessa considerazione fatta sopra per l’iPhone che costa 100 il giorno 1 con Tim e Vodafone, e 80 il giorno 2 con Apple senza brand.
Però, per una volta, ci piacerebbe vedere uno scorcio di sereno sull’orizzonte, con tariffe tagliate su misura per l’utente, non elaborate per tagliare le gambe all’utente. Speriamo allora di tornare a vedere qualche stella con l’iPhone 3G S di 3 (H3G). Sì, perché stavolta Apple è sbarcata anche a Trezzano sul Naviglio, provincia di Milano. Dopo quello di Vodafone e Tim, un altro cartello con protagonista 3 ci farebbe davvero male.
Così come lo scandalo di trovare il Tethering disponibile solo con una maggiorazione di prezzo o un altro abbonamento. Come, non l’avete sentito l’avvertimento di Vodafone? Data Pack per iPhone non basta, per il Tethering. Serve un’opzione accessoria, da 20 a 30 euro, più IVA. Il che, a conti fatti, ci porta a questo esempio: 269 euro (per un iPhone 3G S 16gb), più 50 euro di contributo Vodafone Facile Medium x 24 mesi, più 20 euro (per 60 ore, ammettendo che usiate iPhone come un modem) Vodafone Mobile BroadBand L x 24 mesi (circa, più IVA) = 2045 euro in due anni. Mica male, in un periodo di crisi. Ma la crisi, forse, non riguarda tutti.