Donald Trump mette al bando anche Xiaomi

Gli Stati Uniti mettono al bando Xiaomi: il gruppo potrà continuare ad usare Android e Google Play (a differenza di Huawei) ma ci saranno disinvestimenti.

Un documento del Dipartimento della Difesa USA comunica che da oggi Xiaomi rientra in una nuova lista di aziende contro le quali gli Stati Uniti imporranno specifiche restrizioni. Sono nove i nomi attenzionati dagli USA, la maggior parte dei quali attivi nel mondo dei semiconduttori o dell’aviazione, ma quel che più si fa notare è chiaramente quello del produttore di smartphone e strumenti elettronici per la casa.

Se la Cina sperava di aver definitivamente archiviato il pericolo Donald Trump, non aveva ancora fatto i conti con un inatteso colpo di coda che, a poche ore dall’addio alla Casa Bianca, porta il Presidente USA ad assestare un ulteriore schiaffo al nemico orientale.

Xiaomi, cosa succede ora

Il provvedimento diramato nei confronti di Xiaomi è differente rispetto a quello precedentemente imposto a Huawei. Se Huawei è entrata nella “Entity list” delle aziende con cui nessun gruppo USA avrebbe potuto collaborare, Xiaomi fa parte di una lista che impedisce investimenti diretti. Questo significa che Xiaomi non perde la possibilità di utilizzare Android, Google Play o chip Qualcomm (a differenza di quanto accaduto a Huawei), ma al tempo stesso le aziende USA che hanno quote in Xiaomi saranno costrette a rivedere le proprie posizioni entro il prossimo 11 novembre.

Xiaomi nella lista - Tranche 5

La guerra economica tra le parti è in essere da tempo: iniziò con le restrizioni imposte alle reti ZTE, proseguì con Huawei, toccò i produttori di droni DJI (per collaborazionismo con il Partito Comunista cinese in questioni di diritti umanitari) e ora arriva a Xiaomi in una stretta che si fa sempre più stringente. Le conseguenze, almeno in questo caso, non saranno immediate se non per gli investitori Xiaomi che nel giro di una notte hanno visto il loro capitale sgonfiarsi del 10%. Gruppi come Qualcomm, in possesso di quote di quello che è oggi tra i principali produttori di smartphone al mondo, dovranno dunque mettere sul mercato le proprie quote, creando un eccesso di offerta che porterà al ribasso il valore dell’azienda. Altre conseguenze collaterali saranno intelleggibili soltanto con il passare dei mesi, anche alla luce di una lista di aziende con investimenti preclusi che va ad aumentare progressivamente (e di cui fa parte anche in questo caso Huawei).

La risposta di Xiaomi

L’addio di Trump, peraltro, non cambierà probabilmente le sorti di queste “liste” di restrizioni: Biden non ha finora dato cenno di voler invertire la tendenza, poiché in ballo non c’è una questione politica, ma una sfida commerciale.

Questa la risposta ufficiale del gruppo:

La società ha operato in modo conforme alla legge e lo sta facendo in conformità con le normative e le giurisdizioni, ovunque conduca il suo business. L’azienda ribadisce di offrire prodotti e servizi per impieghi civili e commerciali. La società conferma di non essere posseduta, controllata o affiliata all’esercito cinese e di non essere una “Azienda dell’Esercito Comunista Cinese” come definito nel National Defense Authorization Act. L’azienda attuerà le contromisure appropriate per proteggere gli interessi propri e degli azionisti. La società sta analizzando le potenziali conseguenze per comprendere appieno l’impatto sul gruppo. L’azienda rilascerà altre dichiarazioni quando e nel modo appropriato.

Il sospetto in auge è noto: la presenza “invadente” della politica cinese in affari commerciali, spostando la battaglia di mercato in campo geopolitico. Gli Stati Uniti rispondono così con messe al bando che portino alla restrizione delle opportunità delle aziende cinesi, all’interno di una battaglia che comprime i mercati e genera tensioni di altissimo profilo.

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