Il Canone Rai si sa, in Italia, è una delle tasse più odiate dai contribuenti. Tra l’altro, prima che venisse inserita direttamente nella bolletta della luce, era anche tra le più evase in assoluto. Tuttavia, c’è chi ancora non è contento del risultato nonostante il nuovo provvedimento si stia efficacemente combattendo l’evasione. Infatti, secondo qualcuno, l’importo sarebbe troppo basso soprattutto se confrontato con i nostri vicini europei. Forse, dopo queste dichiarazioni, dobbiamo aspettarci un aumento?
Canone Rai: c’è aria di aumento
Non ci sono dubbi per Carlo Fuortes, amministratore delegato Rai, il Canone Rai “è il più basso in tutta Europa, 90 euro sono pochi“. Una dichiarazione che ha fatto saltare sulla sedia tutti e che sembra nascondere una sorta di consiglio forzato al Governo per prevedere un possibile aumento futuro di questa tassa.
Partiamo col precisare che, quest’anno, il Canone Rai sarà ancora in bolletta, ma dal 2023 ci si aspetta che l’Esecutivo rispetti le normative previste dall’Europa. In pratica, secondo il Piano di Ripresa e Resilienza, l’Italia dovrebbe impegnarsi a eliminare dalla fattura dell’energia elettrica tutti i cosiddetti oneri impropri e la tassa televisiva è una di questi.
Per ora, però, questo non è il primo problema di Fuortes. Quello che sta più a cuore all’amministratore delegato è l’unico finanziamento di cui dispone l’emittente radiotelevisiva pubblica italiana: il Canone Rai. Ecco come lo ha definito:
È una risorsa incongrua rispetto agli obblighi e alle attività che la Rai svolge ed è tenuta a svolgere come certificato anche dalla Contabilità separata.
Ciò a fronte anche dell’abbuono degli ultimi mesi dello scorso anno a tutti gli italiani che non si sono visti addebitare le ultime due rate del Canone Rai. Questo evento speciale unito alle previsioni del 2023 hanno messo la Rai in una condizione di costante incertezza finanziaria.
Insomma, a Fuortes non va proprio giù il fatto che questa tassa, in Italia, sia tra le più basse d’Europa. La sua ultima dichiarazione in merito chiarisce di molto questa posizione che potrebbe aprire a uno scenario futuro non troppo felice per il popolo italiano già piagato dalla crisi economica dovuta alla pandemia:
Il finanziamento del servizio pubblico, nell’ammontare appropriato, è quindi un prerequisito indispensabile, deve essere cioè tale da non porre la società in una condizione di minorità, tale da impedire di rispettare l’essenziale principio di indipendenza che costituisce la qualità che connota la costituzione dei servizi pubblici e la loro capacità di agire. È indubbio che il finanziamento debba essere commisurato e adeguato agli obblighi assegnati, stabile e trasparente. Rispetto agli altri broadcaster pubblici, il servizio pubblico italiano è complessivamente sottofinanziato in riferimento ai costi associati agli obblighi a essa imposti e che rispondono all’esigenza di essere, tra l’altro, pluralista.