Caio e la grande fame di banda larga mobile

Il rapporto Caio si occupa anche di banda larga in mobilità e cellulari, e le notizie anche sul fronte del mobile non sono buone: è tutto appeso a un filo, in Italia

Il rapporto Caio si occupa anche di banda larga in mobilità e cellulari, anche se tutti in questi giorni ne scrivono solo in riferimento alla rete fissa di nuova generazione. E le notizie anche sul fronte del mobile non sono buone: è tutto appeso a un filo, in Italia.
Del resto, sul piano Caio si sono espressi anche gli operatori mobili, come Vodafone e 3 Italia, spingendo per una crescita delle infrastrutture, ma con una logica diversa. Vodafone continua a volere una rete separata quanto più possibile da Telecom Italia. 3 Italia, a sorpresa, si schiera a favore delle idee Telecom, invece. Non ci deve sorprendere questa presa di posizione dei mobili. C’è infatti un dietro le quinte da chiarire: in realtà la rete italiana ha le sue colonne portanti in fibra ottica, che arriva alle centrali Telecom oppure alle antenne dell’operatore. Quella che chiamiamo “rete mobile” è solo l’ultimo tratto, dalle antenne all’utente. Il resto, la parte più costosa, e che prenderebbe l’80 per cento egli investimenti se si volesse potenziare la banda larga italiana, è a monte. È evidente quindi che il percorso di upgrade della rete Telecom investe anche gli interessi dei mobili.

Nello specifico, Caio ricorda che in Italia c’è bisogno anche di “Adottare strategia di allocazione dello spettro radio che possa, nel medio termine, consentire uno sviluppo di servizi di banda larga di prossima generazione mobili in concorrenza– e come stimolo agli investimenti– alla rete fissa”, si legge nel rapporto.
“In diversi Paesi, l’ampliamento dello spettro a disposizione delle tecnologie radiomobili è stato gestito attraverso il riutilizzo del dividendo digitale derivante dal passaggio dalla TV analogica alla TV digitale”.

È un invito a fare in fretta. “E’ opportuno definire da subito il piano delle frequenze in modo da rendere questa possibilità
praticabile in un vicino o lontano futuro, anche per esigenze di uniformità alle regole stabilite dall’ITU nel 2007 e recepite nell’atto di indirizzo del Parlamento Europeo, che prevede l’assegnazione dei canali dal 61 al 69 al radiomobile entro il 2015”.

La proposta precisa è di suddividere lo spettro in frequenze Vhf, basse frequenze Uhf e alte Uhf. “Avendo riordinato i gruppi di frequenze, e allocato i canali a ciascun operatore radiotelevisivo in un unico gruppo, nel caso in cui le frequenze per la telefonia mobile si rivelassero obiettivamente scarse sarebbe possibile decidere di rendere disponibili per il trading – o designare altri meccanismi di attribuzione – le alte frequenze UHF, confinanti con lo spettro dedicato al GSM, in modo non invasivo per gli altri operatori radiotelevisivi”.

Caio non lo segnala, ma in Italia di questi promemoria abbiamo tanto bisogno. La nuova delibera Agcom per il digitale terrestre si è dimenticata infatti della banda larga. Siamo il primo Paese europeo dove, a fronte dello spegnimento della tv analogica, non è prevista una strategia per dare le frequenze in più alla banda larga mobili. I motivi sono tanti; oltre a quelli ovvi, politici, c’è che da noi è un far west di emittenti privati, quindi ancora non si sa se ci saranno frequenze in più (e quante, eventualmente) da dare alla banda larga in mobilità.

Eppure ce ne sarebbe tanto bisogno, lo dice lo stesso Caio, nella pagina dal titolo eloquente “Fabbisogno di spettro”. “L’Italia è tra i Paesi leader per penetrazione del broadband mobile e supportare lo sviluppo del settore con adeguate politiche sullo spettro radio può fornire uno stimolo competitivo agli investimenti in rete fissa”. Nel 2012 ci saranno 9,030 milioni di connessioni banda larga mobile in Italia, +38 per cento dal 2009; seconde solo a quelle del Regno Unito (9,135 milioni), ma più di Germania, Francia, Spagna, Svezia, scrive Caio, citando un rapporto di Yankee Group. Non basta l’upgrade di facciata a 14,4 Megabit al secondo, che gli operatori faranno in massa nel 2010 e che riguarda solo gli standard adottati dalle antenne e non la banda larga reale.

Se crescono le connessioni e non la banda reale (quella data dallo spettro e quella che c’è dietro le antenne), succede che si andrà lenti. E questo l’Italia della banda larga mobile non se lo può permettere. Anche perché- e questo ancora lo dice Caio- sarà grazie ai cellulari e alle chiavette, a modi alternativi ai soliti per l'accesso a internet, che l'Italia ha una chance di superare il gap con l'Europa per diffusione della banda larga mobile.

 

Ti consigliamo anche

Link copiato negli appunti