Apple mente sul display e per questo motivo sarebbe pronta una class action confezionata appositamente per gli utenti che si sentono traditi. Questa la notizia che arriva dagli USA, coinvolgente i modelli iPhone X, XS e XS Max dello smartphone di Cupertino. Ma occorre valutare i dettagli di questa accusa, perché la sua inconsistenza è forse di per sé la parte più interessante di questa questione.
Anzitutto, l’accusa ambisce a diventare class action. La cosa è importante poiché in questi casi la possibilità di successo è legata in larga parte al numero di utenti che si riescono a coinvolgere ed al potenziale risarcimento che si potrebbe loro garantire.
Notch, pollici e pixel
Per comprendere meglio i fatti occorre però entrare nel merito, che ha sostanzialmente a che fare con l’interpretazione del notch all’interno della descrizione del device. Nel riportare le caratteristiche tecniche del display, infatti, Apple avrebbe descritto un “all screen” che, nel caso ad esempio dell’iPhone X, avrebbe dovuto essere da 5,8 pollici. La misura reale arriverebbe invece “soltanto” a 5,6875 pollici. La perdita sarebbe complessivamente pari al 2% della diagonale, valore pressoché inconsistente: la differenza è accreditabile al tipo di misurazione, contemplante o meno l’area attorno al notch, ma l’accusa si spinge anche oltre calcolando quanta area vada perduta a seguito dell’arrotondamento del display negli angoli.
A livello di pixel, però, la differenza sarebbe più sostanziale: una volta eliminate tutte le porzioni di schermo non utilizzabili, il numero di pixel disponibili sarebbe ridotto del 10% circa. Non solo: l’analisi tecnica dei singoli pixel mostrerebbe differenze sostanziali rispetto all’iPhone 8 Plus, cosa che renderebbe il display di quest’ultimo modello addirittura migliore rispetto a quello dell’iPhone X.
Una diagonale differente rispetto a quanto dichiarato, una superficie utile minore rispetto a quanto dichiarato ed una tecnologia differente rispetto a quanto raccontato. Su questi punti l’accusa conta di costruire la propria class action, ma l’esperienza sembra suggerire non poche difficoltà in tal senso: in passato sono state tentate più volte iniziative similari, basate anche su accuse ben più sostanziali, ma lo scopo non è in realtà mai stato raggiunto. Una class action può diventare una occasione non da poco per gli stessi studi legali coinvolti, cosa che genera un’opportunità che puntualmente qualcuno cavalca. Di qui al dimostrare le tesi e raggiungere lo status di “class action”, però, ce ne passa ancora.
Le tesi portate avanti hanno un loro fondamento di veridicità, ma molto sta a come si interpreta quell’elemento nuovo (e passeggero) che è il notch: scomparirà a breve, seppellito dal marketing e dall’innovazione, ma nel frattempo ha creato una zona d’ombra nella quale le case produttrici hanno giocato a proprio vantaggio senza che in questo si possa ravvedere un dolo particolarmente eccessivo. Insomma: questa class action non s’ha da fare, e sicuramente ci sono state occasioni e motivazioni ben più serie in passato.
Rimane un dato di fatto, però, l’interessante analisi relativa al numero ed alla natura dei pixel utili poiché rappresenta un ennesimo indicatore utile sul tipo di innovazione che il mondo degli smartphone sta sperimentando nella fascia alta di mercato.